L’8 e il 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati ad esprimersi su cinque referendum.
Quattro, promossi dalla Cgil, riguardano il lavoro: abrogazione del contratto di lavoro a tutele crescenti – disciplina dei licenziamenti illegittimi; abrogazione parziale per quanto riguarda i licenziamenti e la relativa indennità nelle piccole imprese; abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi; abrogazione dell’esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
La materia è tecnica per cui è necessario un piccolo e sommario approfondimento.
Nel dettaglio, è richiesto il ripristino del tanto dibattuto “articolo 18” dello Statuto dei lavoratori e quindi il reintegro nei casi di licenziamento illegittimo al posto dell’indennità economica; la limitazione dei contratti a termine; l’eliminazione del limite all’indennità per i lavoratori licenziati in modo ingiustificato nelle piccole aziende (l’obiettivo è aumentare le tutele per chi lavora in aziende con meno di 16 dipendenti); la responsabilità solidale delle aziende committenti negli appalti, in caso di infortunio e malattia professionale.
Il nodo della “competizione” è nella flessibilità lavorativa, che negli ultimi anni è stata una rovente materia del contendere. Se i promotori del referendum non l’hanno mai vista di buon occhio, accusandola di favorire il precariato, l’altra “scuola di pensiero”, fedele agli insegnamenti di Marco Biagi, ritiene che soltanto un mercato più flessibile possa oggi garantire un numero maggiore di posti di lavoro. Su quest’ultimo punto siamo d’accordo e le cifre sul trend del lavoro in Italia, certificate dall’Istat, lo confermano.
Se la Cgil, in sostanza, vuole depotenziare il Jobs act renziano del 2016 (in parte già ridimensionato dalla Corte Costituzionale), che – tra l’altro – ha introdotto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e permesso che i contratti a tempo determinato possano essere prorogati fino ad un massimo di cinque volte (alla sesta proroga scatta l’assunzione a tempo indeterminato), la maggioranza di centrodestra e i renziani ovviamente lo difendono.
Entrambi gli schieramenti, onestamente, hanno valide ragioni: da una parte è vero, come sostiene Landini, che le garanzie del “posto di lavoro a vita” non esistono più, ma ciò risente della trasformazione globale del mercato del lavoro e provare a ripristinarle è una forzatura che rischia di far trasferire ulteriori imprese italiane in altri Paesi europei dove le norme non sono così rigide; è altrettanto vero che la maggiore flessibilità e soprattutto i tagli del cuneo fiscale alle imprese hanno determinato molti più posti di lavoro, non a caso siamo arrivati al numero record di occupati. Ed avere un lavoro è il miglior antidoto alla disperazione.
Il quinto referendum, promosso da +Europa ed altri, riguarda la cittadinanza italiana per i cittadini stranieri; i promotori chiedono di dimezzare da dieci a cinque anni la residenza in Italia dei cittadini extracomunitari maggiorenni per presentare la domanda di cittadinanza.
Come noto, l’istituto del referendum è abrogativo, per cui la richiesta è quella di cancellare totalmente o in parte norme esistenti, appunto il “Jobs act”. Ma va ricordato che gli ultimi referendum hanno fatto il classico buco nell’acqua per l’indifferenza di molti cittadini verso temi a loro estranei, ma anche per un certo abuso dello strumento referendario o per l’opposizione alla proposta referendaria (meglio l’astensione del votare “no”, che comunque alza il quorum). L’aumento vertiginoso dell’astensionismo negli ultimi anni rischia inoltre di accentuare la disaffezione. Infatti, perché sia valido un referendum, occorre che vada a votare almeno la metà degli aventi diritto: di conseguenza la maggioranza di governo, salvo qualche eccezione, invita all’astensione per non far raggiungere il quorum.
Divise, invece, le opposizioni: Avs invita ad andare a votare cinque “sì”, il Pd fa lo stesso ma non compatto, il Movimento Cinque Stelle indica quattro “sì” e libertà di coscienza per il quesito sulla cittadinanza, mentre Italia Viva e Azione sono contrari ai referendum.
Domenico Mamone