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    UNSIC: Salario minimo, memoria dell'Unsic in Senato - UNSIC

    L’Unsic, in qualità di associazione datoriale componente del Cnel, presenta la seguente memoria scritta in vista dell’audizione parlamentare avente ad oggetto i disegni di legge nn. 957, 956 e 1237, recanti “Disposizioni in materia di salario minimo”. Il testo base di riferimento è il DDL n. 957, approvato dalla Camera dei deputati il 6 dicembre 2023, che non impone rigidi parametri prefissati a cui far riferimento per stabilire il costo lavoro dei vari settori merceologici ma rimanda alle tabelle economiche contenute nei CCNL.

    L’Unsic ritiene che la garanzia per una giusta retribuzione per i lavoratori, in ossequio ed ottemperanza dell’art. 36 della Costituzione, debba essere perseguita attraverso il rafforzamento della contrattazione collettiva nazionale di settore piuttosto che mediante l’imposizione di un salario minimo prestabilito per legge. Tuttavia, è fondamentale che tale rafforzamento avvenga in modo equilibrato tenendo conto delle esigenze delle imprese, della competitività del sistema produttivo e della sostenibilità economica.

    Riferimento alla Direttiva europea 2041/2022

    La Direttiva europea 2041/2022 lascia ai singoli Stati membri la scelta tra l’introduzione di un salario minimo legale e la promozione dell’accesso alla tutela garantita dai contratti collettivi incoraggiandone la sottoscrizione e la massima partecipazione delle parti sociali. Anche il Cnel, nel rapporto del 7 ottobre 2023, ribadiva come il ruolo della contrattazione collettiva sia quello di ergersi quale strumento di elevata efficacia a garanzia di retribuzioni dignitose ed adeguate. Infatti l’articolato tessuto imprenditoriale italiano, sviluppatosi negli anni anche muovendo i passi dai tavoli della contrattazione sindacale, lancia la riflessione sull’efficacia che una virtuosa contrattazione collettiva possa realizzare nella determinazione dei salari attraverso la quale garantire il giusto bilanciamento degli interessi coinvolti nel mercato del lavoro senza vincolare il libero e concorrenziale scambio di merci e prestazioni ad una prefissata soglia di monetizzazione che potrebbe risultare, nel medio periodo, poco agile e non confacente alle esigenze degli operatori economici.

    Evitare derive giudiziarie e politiche

    Come evidenziato dal Cnel, il tema della retribuzione adeguata deve essere affrontato con strumenti normativi e contrattuali che evitino il rischio di contenziosi giudiziari diffusi. La giurisprudenza recente ha già sollevato dubbi sulla sufficienza di alcuni minimi contrattuali rispetto all’art. 36 della Costituzione, e un intervento legislativo poco calibrato potrebbe generare incertezza e conflitti legali.

    Inoltre, il dibattito sul salario minimo rischia di trasformarsi in una questione politica e demagogica, mentre è invece da valorizzare la via della contrattazione collettiva, dove le parti sociali si assumono la responsabilità di bilanciare gli interessi della domanda e dell’offerta di lavoro.

    La contrattazione collettiva come istituzione politica

    La contrattazione collettiva non è solo uno strumento economico, ma una vera e propria istituzione politica che deve essere rispettata e valorizzata. Essa rappresenta il principale meccanismo di regolazione del mercato del lavoro, garantendo flessibilità e adattabilità alle esigenze dei settori produttivi.

    Alternative al salario minimo legale

    Per garantire retribuzioni dignitose senza imporre un salario minimo uniforme, Unsic propone le seguenti misure:

    1. Incentivazione pubblica della contrattazione di prossimità – Favorire accordi aziendali e territoriali che permettano di adattare i salari alle specificità locali e settoriali.
    2. Sviluppo del welfare aziendale – Promuovere strumenti di welfare integrativo che migliorino il benessere dei lavoratori senza gravare eccessivamente sui costi per le imprese.
    3. Detassazione del salario di produttività – Prevedere agevolazioni fiscali per le imprese che riconoscono aumenti salariali legati alla produttività, incentivando la crescita economica e la competitività.

      Accelerare i rinnovi contrattuali

      I ritardi nei rinnovi contrattuali, spesso dovuti a lungaggini burocratiche e divergenze tra le parti sociali, penalizzano sia i lavoratori che le imprese. Nel pubblico impiego, in particolare, i vincoli di bilancio e la complessità delle negoziazioni portano a ritardi significativi.

      Unsic propone di introdurre incentivi per favorire il rinnovo tempestivo dei contratti collettivi, evitando periodi di vacanza contrattuale che riducono il potere d’acquisto dei lavoratori e creano incertezza per le imprese.

      Valorizzazione dei sistemi di bilateralità qualificata e dei fondi interprofessionali

      Per rafforzare la contrattazione collettiva e migliorare la qualità del lavoro, è fondamentale:
      – Promuovere il ruolo degli enti bilaterali, che possono gestire politiche retributive e di welfare aziendale in modo efficace.
      – Sostenere la formazione continua attraverso i fondi paritetici interprofessionali, incentivando l’aggiornamento delle competenze e l’aumento della produttività.

      Alla luce dell’analisi svolta, Unsic esprime un giudizio tendenzialmente favorevole sull’impianto del DDL 957 e sull’approccio che privilegia il ruolo della contrattazione collettiva settoriale nel garantire salari minimi equi. Riteniamo che il rafforzamento della contrattazione sia la via maestra per coniugare tutela del lavoro e dinamiche economiche settoriali, evitando distorsioni, precarietà ed instabilità del mercato del lavoro. In quest’ottica, formuliamo alcune proposte complementari e migliorative, in linea con la posizione già espressa dalla nostra organizzazione, per assicurare il pieno
      successo della riforma:

    – Attuazione concertata della delega: sollecitiamo il Governo a dare rapida attuazione alla legge delega, coinvolgendo attivamente le parti sociali nella predisposizione dei decreti legislativi. Ciò può avvenire istituendo tavoli tecnici o una Commissione nazionale consultiva sul salario minimo, con rappresentanti di sindacati e datori, sul modello di quanto fatto in Germania. Una partecipazione ex ante delle parti sociali garantirà decreti attuativi più condivisi e calibrati sulle realtà produttive. In particolare, per l’individuazione dei CCNL “comparativamente più applicati”, si potrebbe prevedere un parere obbligatorio del Cnel, che dispone dei dati sui contratti collettivi depositati e può fornire un’analisi neutrale della rappresentatività comparata.
    – Incentivi alla contrattazione settoriale e di secondo livello: per rafforzare il sistema contrattuale, Unsic suggerisce di introdurre misure premiali per le parti che rinnovano i CCNL nei tempi concordati e che ampliano la contrattazione di secondo livello. Ad esempio, si potrebbe:
    (a) ridurre temporaneamente il cuneo fiscale sui rinnovi contrattuali che prevedono incrementi sui minimi superiori all’inflazione, così da incoraggiare aumenti reali e condivisione della produttività;
    (b) destinare risorse (anche attraverso il citato Fondo eventualmente da istituire) a premi di risultato detassati collegati alla contrattazione aziendale, specialmente nelle PMI, per diffondere il secondo livello dove oggi manca. In altri termini, la presenza di un salario minimo legale non deve “accontentare” le imprese sul minimo, ma stimolarle – con incentivi – a fare meglio tramite la negoziazione decentrata. Ciò risponde all’obiettivo di cui all’art.1 lett. d) del DDL 957 (sviluppo progressivo della contrattazione di secondo livello) e contribuirebbe a un sistema salariale più efficiente e partecipativo.
    – Sgravi e sostegni per le microimprese e i settori fragili: come evidenziato, l’adeguamento ai nuovi minimi legali potrebbe risultare oneroso per alcune realtà (ad esempio, piccole cooperative sociali, imprese agricole a bassa marginalità, ecc.). Per evitare che l’aumento dei salari minimi provochi
    contraccolpi occupazionali o incremento del lavoro irregolare, Unsic propone di valutare l’introduzione di sgravi contributivi mirati e temporanei. Tali sgravi potrebbero modularsi in base alla dimensione aziendale e allo scostamento percentuale tra retribuzioni attuali e nuovo minimo: ad esempio, un esonero parziale dei contributi per 12-24 mesi per le aziende >10 dipendenti i cui salari di ingresso aumentano di oltre il 10% per effetto della riforma. Parallelamente, si potrebbe istituire un credito d’imposta sul modello spagnolo (dove esiste un bonus per compensare l’aumento del SMI per alcuni datori). Lo scopo è duplice: accompagnare le imprese nella transizione e incentivare l’emersione – un’impresa che regolarizza gli stipendi ai minimi legali potrebbe vedersi ridotto in parte il costo extra per un periodo, a condizione di risultare in regola con tutti gli obblighi (una sorta di “compliance bonus”). I 100 milioni annui ipotizzati nel
    DDL 1237 per un Fondo salario minimo potrebbero essere ridistribuiti in questo modo più efficiente, se la legge delegata verrà perfezionata in tal senso.
    – Monitoraggio e adeguamento periodico condiviso: una volta introdotto il nuovo sistema, sarà fondamentale verificarne periodicamente gli effetti e adeguare i parametri se necessario. Unsic propone l’istituzione – se non già prevista dai decreti attuativi – di una Commissione Nazionale Salari (sul modello di quella tedesca o di un Osservatorio presso Cnel), composta da rappresentanti di Istat, Inps, Ministero del Lavoro, sindacati e datori di lavoro. Questa Commissione potrebbe riunirsi annualmente per: esaminare i dati su distribuzione dei salari, costo della vita e produttività; valutare se i minimi settoriali garantiscono ancora l’obiettivo di esistenza dignitosa; proporre eventuali correzioni. Ad esempio, se in un certo settore tutti i CCNL hanno minimi ancora troppo bassi rispetto all’inflazione, la Commissione potrebbe suggerire al Governo di convocare le parti di quel settore o, in extrema ratio, di fissare per decreto un incremento minimo (strumento da usare con cautela per non esautorare la contrattazione, ma da non escludere qualora la contrattazione non risponda). Inoltre, la Commissione redigerebbe il rapporto semestrale pubblico previsto dall’art.2, lett. c) DDL 957, fornendo trasparenza totale su quanto la riforma incide. Questo organo aiuterebbe a mantenere alta l’attenzione politica sul lavoro povero e ad evitare che, una volta introdotto il minimo, esso venga lasciato erodere dall’inflazione o bypassare da nuovi fenomeni (ad esempio appalti transnazionali, finte partite Iva, ecc.). In altre parole, istituzionalizzare un luogo di confronto permanente sui salari minimi contrattuali servirebbe a dare continuità all’intervento.
    – Ulteriore riduzione del cuneo fiscale sui bassi salari: sebbene esuli
    strettamente dal DDL 957, UNSIC ritiene opportuno ribadire che il tema del salario minimo netto (ciò che realmente arriva in tasca al lavoratore) non può essere ignorato. L’Italia soffre di un cuneo fiscale-contributivo elevato, che penalizza sia i lavoratori (con salari netti bassi) sia i datori (con alto costo del
    lavoro). Un salario minimo legale di per sé interviene sul lordo dovuto dal datore, ma per migliorare la condizione dei working poor è essenziale aumentare il netto disponibile. Proponiamo quindi che il Governo, parallelamente ai decreti delegati, prolunghi e rafforzi le misure di decontribuzione per i redditi medio-bassi. Nel 2023 si è attuata una riduzione fino a 7% dei contributi a carico del lavoratore sotto una certa soglia: misura che va nella giusta direzione e che si potrebbe estendere strutturalmente (magari condizionandola al rispetto dei minimi contrattuali legali, così da premiare le imprese virtuose). Anche interventi sul prelievo fiscale (detrazioni per lavoro dipendente accresciute, tax credit per straordinari, ecc.) possono integrare la strategia. L’idea di fondo è che la questione salariale si risolve su due fronti: garantendo un livello minimo adeguato (compito del salario minimo legale) e riducendo la forbice tra lordo e netto (compito della fiscalità). Solo così il lavoratore a bassa qualifica potrà davvero vedere un miglioramento tangibile del proprio potere d’acquisto, e l’impresa non sarà gravata da oneri eccessivi. UNSIC, rappresentando anche piccole realtà imprenditoriali e agricole, non può che insistere su questo punto: salari dignitosi e impatto sostenibile devono procedere insieme. Le esperienze europee dimostrano che dove c’è un salario minimo alto (Francia, Belgio, ecc.) spesso ci sono contestualmente politiche di sostegno alle imprese sui costi del lavoro. L’Italia dovrà muoversi in tal senso per evitare che la pur giusta tutela dei lavoratori più deboli si traduca in un freno all’emersione o alla competitività.

    Conclusioni e proposte Unsic
    In definitiva, Unsic condivide la finalità dei disegni di legge in esame di combattere il lavoro povero e garantire retribuzioni dignitose a tutti i lavoratori, privilegiando il ruolo regolatore della contrattazione collettiva nazionale. Le proposte integrative sopra delineate mirano a rendere questo obiettivo raggiungibile in modo equilibrato, tenendo conto delle esigenze sia dei lavoratori che delle imprese. Ribadiamo che il coinvolgimento delle parti sociali non è solo auspicabile ma necessario: come affermato anche a livello europeo, “il dialogo sociale funziona” ed è la chiave per riforme del lavoro efficaci e condivise. La sfida del salario minimo può diventare un’opportunità per rilanciare la concertazione in Italia su basi nuove, con l’interesse comune di far progredire il paese verso maggiore coesione sociale e crescita sostenibile.

    Unsic offre sin d’ora la propria collaborazione istituzionale affinché, nell’attuazione di questa riforma, siano pienamente considerati i punti di vista di tutte le componenti del mondo del lavoro e dell’impresa, in uno spirito di leale partnership per il bene comune.

    Il Presidente nazionale
    Domenico Mamone

    Giampiero Castellotti

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